Sergio Musmeci fu allievo ed erede dei più noti ingegneri Pier Luigi Nervi e Riccardo Morandi, affiancò alla laurea in Ingegneria civile quella in Ingegneria aeronautica ed è stato certamente uno dei più audaci e trasgressivi strutturisti italiani del secolo.
Il suo lavoro fu indirizzato particolarmente alla ricerca della forma, che "nella misura in cui aderisce organicamente alla propria funzione statica, può divenire il veicolo di una comunicazione tra l'oggetto architettonico e la facoltà intuitiva del fruitore".
Egli concentrò i suoi studi sulle forme minimali, quelle cioè che assolvono al loro compito strutturale impiegando la minima quantità di materia e rivelando con chiarezza i flussi delle forze che attraversano la struttura. Per Musmeci esiste una e una sola quantità minima di una determinata materia con cui una struttura può essere realizzata, una volta determinato il sistema delle forze esterne. Tale "forma ideale" è un'invariante, un riferimento rispetto al quale sviluppare le successive elaborazioni che consentano a tale forma di divenire oggetto concreto, valutando tutti gli elementi reali, quali le sollecitazioni esterne e la loro dislocazione nello spazio, la natura del suolo e i materiali utilizzati. Musmeci ricercava forme assolutamente nuove e non paragonabili a quelle precedentemente adottate. "L'architettura, e non soltanto quella strutturale, è un campo dove oggi occorre rischiare. Chi non rischia vuol dire che sta imitando oppure ripetendo. Se si vuole invadere un campo nuovo occorre affrontare l'ignoto." La sua metodologia progettuale prevedeva l'utilizzo complementare di calcoli matematici e modelli di studio, per la realizzazione dei quali impiegò numerosi materiali, tra cui: pellicole liquide di soluzione saponata tese tra fili di cotone, come negli stessi anni andava facendo Otto Frei, progettista delle tensostrutture dell'Olimpiapark di Monaco di Baviera; la gomma o semplicemente cordicelle con piccoli carichi, così come aveva fatto a cavallo tra il XIX e il XX secolo il celebre architetto catalano Antoni Gaudì con le reti da pesca, caricate con piccoli sacchi di sabbia al fine di ricercare strutture equicompresse. Durante la progettazione del Ponte sul fiume Basento, Musmeci utilizzò inizialmente le soluzioni saponate per definire la forma della volta, a cui seguirono un modello in neoprene e successivamente uno in metacrilato, affiancati, ovviamente, da un meticoloso e complicato processo di calcolo matematico. Tale ponte rappresenta il punto focale della sua ricerca sulle membrane sottili -nata negli anni trenta dall'opera di Felix Candela e Eduardo Torroja- che prosegue nel progetto per il Ponte sul fiume Niger ad Ajakourta (1977), dove la membrana a compressione uniforme è sostituita da una rete di elementi prefabbricati in calcestruzzo, ed ancora in quello del Ponte sul fiume Talvera a Bolzano (1978), progettato con l'arch. Zenaide Zanini, sua moglie.
Qui il pdf relativo al ponte sul Basento.
Il suo lavoro fu indirizzato particolarmente alla ricerca della forma, che "nella misura in cui aderisce organicamente alla propria funzione statica, può divenire il veicolo di una comunicazione tra l'oggetto architettonico e la facoltà intuitiva del fruitore".
Egli concentrò i suoi studi sulle forme minimali, quelle cioè che assolvono al loro compito strutturale impiegando la minima quantità di materia e rivelando con chiarezza i flussi delle forze che attraversano la struttura. Per Musmeci esiste una e una sola quantità minima di una determinata materia con cui una struttura può essere realizzata, una volta determinato il sistema delle forze esterne. Tale "forma ideale" è un'invariante, un riferimento rispetto al quale sviluppare le successive elaborazioni che consentano a tale forma di divenire oggetto concreto, valutando tutti gli elementi reali, quali le sollecitazioni esterne e la loro dislocazione nello spazio, la natura del suolo e i materiali utilizzati. Musmeci ricercava forme assolutamente nuove e non paragonabili a quelle precedentemente adottate. "L'architettura, e non soltanto quella strutturale, è un campo dove oggi occorre rischiare. Chi non rischia vuol dire che sta imitando oppure ripetendo. Se si vuole invadere un campo nuovo occorre affrontare l'ignoto." La sua metodologia progettuale prevedeva l'utilizzo complementare di calcoli matematici e modelli di studio, per la realizzazione dei quali impiegò numerosi materiali, tra cui: pellicole liquide di soluzione saponata tese tra fili di cotone, come negli stessi anni andava facendo Otto Frei, progettista delle tensostrutture dell'Olimpiapark di Monaco di Baviera; la gomma o semplicemente cordicelle con piccoli carichi, così come aveva fatto a cavallo tra il XIX e il XX secolo il celebre architetto catalano Antoni Gaudì con le reti da pesca, caricate con piccoli sacchi di sabbia al fine di ricercare strutture equicompresse. Durante la progettazione del Ponte sul fiume Basento, Musmeci utilizzò inizialmente le soluzioni saponate per definire la forma della volta, a cui seguirono un modello in neoprene e successivamente uno in metacrilato, affiancati, ovviamente, da un meticoloso e complicato processo di calcolo matematico. Tale ponte rappresenta il punto focale della sua ricerca sulle membrane sottili -nata negli anni trenta dall'opera di Felix Candela e Eduardo Torroja- che prosegue nel progetto per il Ponte sul fiume Niger ad Ajakourta (1977), dove la membrana a compressione uniforme è sostituita da una rete di elementi prefabbricati in calcestruzzo, ed ancora in quello del Ponte sul fiume Talvera a Bolzano (1978), progettato con l'arch. Zenaide Zanini, sua moglie.
Qui il pdf relativo al ponte sul Basento.